Sinisa, il più mancino dei cuori

Che cos’è l’anima? Per qualcuno è la coscienza, per me il ricordo delle persone amate che non ci sono più. Penso sia così, o perlomeno così la vivo, dal 14 marzo del 2017 quando morì mio padre. Da allora l’anima di quell’uomo così importante nella mia vita mi attraversa i pensieri e lo fa ogni santo giorno per almeno un secondo, un minuto, un’ora. L’anima poi è generosa e al tempo stesso egoista: si nutre di immagini, momenti, incontri, parole, colori. Dal 16 dicembre di un anno fa l’anima di Sinisa si ripresenta con una certa frequenza. All’inizio mi ha spinto a non seguire più le partite del mio Bologna perché sulla panchina sedeva un altro. Soltanto intorno a febbraio ho ripreso a tifare, pur se a distanza, e non c’era squadra che in qualche modo non gli appartenesse e me lo ricordasse. Arianna, gli amici comuni e qualche speciale televisivo hanno provveduto a portarmi sempre più spesso a lui. E l’estate scorsa è stato l’incontro casuale con il sorriso di Dusan, uno dei sei figli, bellissimo ragazzo – ha preso dalla mamma, avrebbe detto Sinisa – a convincermi che l’anima dell’amico mi avrebbe accompagnato per sempre.

Pochissimi, in quest’anno passato troppo rapidamente, sono stati i momenti di vuoto. Oggi il pieno è assoluto. Cos’è l’assenza più cruda e fisica l’ho chiesto ad Arianna, che gli ha dato cinque dei sei figli e con “Sini” ha diviso la vita per ventisette anni. «È tutto quello che mi manca di lui»mi ha detto. «Era il mio scudo, la mia protezione, la mia sicurezza ed era anche un gran rompiballe. Riusciva a essere presente perfino a 4-500 chilometri di distanza. A Bologna non l’avevo seguito, ero rimasta con i figli a Roma… Sinisa mi dava tranquillità ed era altro rispetto a come si mostrava, naturalmente amavo anche le fragilità che soltanto io conoscevo… Per Sinisa dove va essere tutto organizzato, preciso, mentre a me piaceva vivere alla giornata, il momento».

«Devo dire che mi manca anche il calcio, l’adrenalina della partita. Le tensioni, le emozioni dei giorni difficili, se perde lo esonerano, chissà come la prende, ma se vince si va alla prossima. Lui era capace di nascondere i malumori… Gli ultimi anni sono stati feroci, ho vissuto e visto cose pesanti. Ho davanti agli occhi il suo corpo magrissimo, stremato. Lui, che prima della malattia aveva un fisico stupendo, muscoli che allenava di continuo e senza conoscere la fatica, aveva sempre curato con attenzione l’aspetto. Quando si toglieva la maglietta riuscivo a percepire il suo imbarazzo, il dolore di non essere più se stesso».

Sinisa è stato importante anche per tante persone colpite dalla malattia. Due giorni fa mi hanno toccato le parole di Achille Polonara, il cestista della Virtus Bologna reduce da un intervento chirurgico per l’asportazione di un tumore a un testicolo: «Avevo seguito le sue interviste, letto le sue dichiarazioni. Ero impressionato dalla sua forza, dalla volontà di andare avanti, di lottare anche nei momenti difficili. Questo mi è rimasto impresso e in fondo mi ha aiutato». Un anno dopo non avevo voglia di riparlare del calciatore e dell’allenatore che “Sini” è stato. Anche perché ognuno di noi si era fatto un’idea di come fosse in campo e in panchina, uomo di forti contrasti, ma anche di straordinaria generosità.


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